venerdì 1 gennaio 2010

La Metodologia Operativa nell'Educazione Posturale – di Giuseppe Martinini

Quando, nel dicembre 1970, ascoltando per la prima volta Silvio Ceccato1 in un'intervista radiofonica, lo sentii parlare di "consapevolezza operativa", provai la netta sensazione che il mio metodo di lavoro in campo motorio e posturale si sarebbe radicalmente trasformato. Come insegnante di Educazione Fisica, sino ad allora la mia concezione dominante della motricità e della postura si era ispirata all'idea che l'aggettivo "fisica" dovesse di per sé comportare un intervento sulla struttura corporea, nell'intento di modificare in senso migliorativo le caratteristiche fisiche2 dei segmenti corporei. Il presupposto di base era quindi la necessità di intervenire su alcuni parametri fisiologici, quali la mobilità articolare, il tono e il trofismo muscolare, l'estensibilità vertebrale, ecc..., nella netta convinzione che un miglioramento di tali parametri avrebbe conseguentemente prodotto anche un aggiustamento dell'assetto posturale.

L'invito alla riflessione sulla consapevolezza operativa mi rese però subito evidente che il miglioramento dei parametri fisiologici non avrebbe mai potuto di per sé modificare quegli schemi motori e posturali che, appunto in quanto schemi, afferiscono alla sfera mentale.

Appare qui opportuno precisare subito che, nell'accezione OPERATIVA, il termine "mentale" viene assunto come DINAMISMO MNEMONICO-ATTENZIONALE COSTITUTIVO DI UN PENSIERO ANALIZZABILE E DESCRIVIBILE IN TERMINI DI OPERAZIONI; in netta opposizione, quindi, rispetto alla concezione "ontologica", per cui - come scriveva Ceccato - ...chi vede il mentale in termini di entità cerca scampo nelle due illusorie vie: o tornare alle "facoltà dell'anima, alle qualità occulte" (spiritualismo) o cercare l'operare mentale in qualcosa di fisico (materialismo-fisicalismo)... (da "La terza cibernetica" - Feltrinelli - 1974).

Mi resi conto, quindi, che il problema non era quello di intervenire sul corpo, ma sulla mente attraverso il corpo, per poter condurre il soggetto all'acquisizione dell'AUTOCONTROLLO POSTURALE tramite la strutturazione di schemi motori e posturali corretti e personalizzati: requisiti ottenibili quando il soggetto è consapevole delle operazioni mentali che compie nel ricercare l'allineamento reciproco dei segmenti che compongono la sua struttura corporea.

La "correttezza posturale" viene qui considerata in rapporto al PARADIGMA ANATOMO-FISIOLOGICO orientato all'integrità strutturale dell'organismo; ben diversamente, quindi, dal PARADIGMA SPORTIVO, ove la correttezza posturale viene riferita alle necessità tecnico-strumentali del gesto. Nello sport le strutture anatomiche e le funzioni fisiologiche divengono infatti STRUMENTO della prestazione ai fini del RISULTATO TECNICO e, conseguentemente, sono esposte a possibili alterazioni a causa dei carichi e delle sollecitazioni meccaniche cui sono sottoposte. Nella danza classica, come pure nella ginnastica artistica, ove il PARADIGMA è ESTETICO-FIGURATIVO, la correttezza è rintracciabile nella "perfezione del gesto", che tuttavia, anche in tal caso, può ledere l'integrità anatomo-funzionale a causa di una gestualità basata, tra l'altro, su inarcamenti vertebrali iperlordosizzanti sia a livello cervicale che a livello lombare.

Nella prospettiva OPERATIVA il concetto tradizionale di "esercizio" come sequenza figurativa pre-formata e consegnata al soggetto per una pronta e fedele esecuzione di un modello copiato dall'esterno e passivamente riprodotto, cede il posto ad una concezione in cui l'esercizio viene ricondotto alle operazioni che lo costituiscono, a partire dall'ATTIVITÀ ATTENZIONALE che il soggetto applica ai segnali3 provenienti dai recettori dell'apparato tattile-chinestesico, superando la localizzazione isolata di tali segnali3 e riconducendoli all'insieme dei rapporti costitutivi dell'intera struttura corporea.

I recettori dell'apparato tattile-chinestesico, in base alla loro funzione e localizzazione, vengono distinti in PROPRIOCETTORI ed ESTEROCETTORI.

I propriocettori, situati all'interno del corpo, registrano e veicolano gli stimoli generatisi nel corso dell'attività posturale-motoria ed hanno sede nelle ossa, nei muscoli, nelle articolazioni. Affini ad essi sono l'utricolo, il sacculo e i canali semicircolari come organi dell'apparato vestibolare, preposto all'equilibrio statico e dinamico.

Gli esterocettori, localizzati alla periferia del corpo, vengono distinti in recettori a contatto e recettori a distanza . I recettori a contatto sono disposti nei differenti strati della pelle, per cui si possono distinguere recettori profondi e recettori di superficie, con forme e funzioni diversificate: per esempio, i meccanocettori del Meissner sono superficiali e più numerosi nelle palme delle mani, nelle piante dei piedi, sulle labbra, e, in generale, nelle zone di più elevata sensibilità. I recettori cutanei vengono attivati dalle variazioni atmosferiche e dai contatti della pelle con gli oggetti.

I recettori a distanza (telecettori) hanno sede negli organi di senso specifici (occhi, orecchie, narici) e vengono attivati dalle stimolazioni (bio-elettriche, meccaniche, biochimiche) provenienti dall'ambiente esterno.

Sulla scorta di quanto esposto, passando ora all'ambito tecnico-applicativo, considero fondamentale, quale operazione preliminare, la:

- COSTITUZIONE DEI "CAMPI ATTENZIONALI"

Dopo aver focalizzato l'attenzione sulla sensorialità tattile, il soggetto, stando seduto su uno sgabello, manterrà un'asta di legno appoggiata alla schiena.


Nel ricercarne il CONTATTO (visualizzato in figura dal tratteggio e dalla lettera C) darà così avvio alla PRESENZIAZIONE4 delle afferenze tattili-chinestesiche, cioè di quei segnali che, captati attraverso i recettori della pelle, se sostenuti dalla "presa attenzionale", vengono poi veicolati e rielaborati sino ai livelli superiori del sistema nervoso centrale (corteccia motoria). La presenziazione di tali afferenze presuppone quindi che entri in gioco il dinamismo mnemonico-attenzionale, cioè quella funzione che permette di rendere "mentalmente presente" ciò che gli organi sensoriali stanno compiendo (nel nostro caso, gli organi dell'apparato tattile-chinestesico). Non ci può essere percezione senza questa preliminare funzione presenziatrice dell'attenzione; senza di essa, il contatto tra schiena ed asta si risolverebbe in un mero rapporto di interazione fisica tra il corpo del soggetto e l'asta ad esso appoggiata, senza apportare la benché minima esperienza cognitiva su cui fondare la conseguente modifica comportamentale.

Dopo aver così costituito questo primo campo attenzionale sul contatto tra l'intera schiena e l'asta, il soggetto sarà ora invitato a compiere una seconda operazione: la DIFFERENZIAZIONE dell' "unità schiena" in due distinte sotto-unità: zona lombare e zona dorsale. I campi attenzionali diverranno così due: dapprima si chiederà al soggetto di applicare l'attenzione al solo contatto lombare (in figura, C.L.) per poi applicarla anche al contatto dorsale (in figura, C.D.), mantenendo quindi la prima presa attenzionale al sopraggiungere della seconda e costituendo in tal modo una COMPRESENZA SOMMATIVA tra le due sotto-unità attenzionate.

Da tale compresenza sommativa risulterà al soggetto la percezione dell'appianamento dell' "unità schiena" come struttura attenzionalmente costituita dalle due "sotto-unità": lombare e dorsale.

Nella compresenza sommativa l'attenzione è "coordinante", nel senso che riunisce ed armonizza le varie prese attenzionali in un unico "momento", similmente a quanto accade in un coro, ove le varie voci, pur singolarmente individuabili, si fondono a costituire una struttura unitaria.

- INVARIANZA POSTURALE E VARIABILI OPERATIVE

Acquisita così la capacità di appianare la propria schiena, agli effetti della modifica comportamentale è poi necessario che il soggetto sappia mantenere invariato, pur nella variabilità dei diversi contesti situazionali, l'appianamento raggiunto, assumendolo come invarianza posturale cui riferirsi in quanto termine di confronto.

Dalla stazione seduta sullo sgabello, il soggetto cercherà allora di mantenere la compresenza sommativa dei due campi attenzionali (contatto lombare + contatto dorsale: in figura, C.L. + C.D.) anche introducendo la variabile dell'inclinazione avanti del busto.

Tale azione, se lasciata al determinismo causale e non controllata dall'operatività del soggetto, contribuirebbe di per sè ad accentuare l'incurvamento della zona dorsale (cifotizzazione), con conseguente perdita dell'invarianza posturale.

Nel passaggio dalla stazione seduta alla stazione eretta il determinismo causale tenderebbe poi ad annullare o comunque ridurre il contatto a livello lombare; l'operatività del soggetto sarà quindi rivolta ad evitare tale decremento ricorrendo alla flessione di una gamba allo scopo di mantenere l'invarianza posturale anche in presenza della nuova variabile operativa.

- DALLA FASE IMPRESSIVA ALLA FASE RIEVOCATIVA

La fase di lavoro sui contatti sin qui espletata può essere denominata "fase impressiva" poiché il soggetto, attraverso la presa attenzionale, ha potuto "imprimere" nella propria mente, affidandosi alla funzione mnemonica, le afferenze sensoriali sperimentate. Grazie a tale memorizzazione, al soggetto è ora possibile "rievocare" le esperienze del contatto, "richiamando" le sensazioni5 memorizzate, nella prospettiva del passaggio dalla percezione alla rappresentazione.

Dalla stazione seduta sullo sgabello, senza più l'appoggio dell'asta sulla schiena, il soggetto potrà così "rievocare"la sensazione del contatto precedentemente percepito, atteggiando le braccia come se mantenessero l'asta a contatto, per giungere alla rappresentazione del contatto stesso, ottenendo in tal modo il medesimo risultato dell' l'APPIANAMENTO già in precedenza ottenuto attraverso la percezione tattile-chinestesica.

Con le stesse modalità, il soggetto potrà poi transitare dal momento percettivo a quello rappresentativo anche nell'inclinazione avanti del busto e nel successivo passaggio alla stazione eretta.

Alla luce delle argomentazioni svolte e degli esempi illustrati, appare quindi piuttosto insensata la richiesta di "star dritto" che molti genitori rivolgono ai propri figli, dal momento che, come abbiamo visto, la capacità di assumere una postura equilibrata (e quindi corretta) non si acquisisce spontaneamente, ma culturalmente, attraverso un progressivo processo di apprendimento operativo.

Esortando semplicisticamente il soggetto a star dritto si commette un errore sia dal punto di vista psico-pedagogico (assegnare un compito senza fornire gli strumenti cognitivi per poterlo risolvere), sia dal punto di vista strettamente bio-meccanico, poiché il pressante invito (specie se rivolto con tono ammonitorio) si risolve spesso per il soggetto in un vago e maldestro tentativo di raddrizzamento della schiena, senza però alcuna differenziazione tra regione lombare e regione dorsale, provocando conseguentemente, a livello lombare, un deleterio inarcamento compensativo in iperlordosi.

Il tentativo di raddrizzamento, non sostenuto dalla consapevolezza operativa, ma imposto da un modello esterno sulla base di uno stereotipo consolidato dalla tradizione, si traduce così in un danno aggiuntivo: l'incremento dell'iperlordosi lombare.

Piuttosto che limitarsi all'inutile e improduttiva esortazione a "star dritto" sarebbe quindi ben più utile mostrare al soggetto come si possa operare per prevenire o correggere un atteggiamento posturale squilibrato, orientando il soggetto stesso verso le esperienze percettive di contatto che abbiamo esaminato, per approdare a quella capacità rievocativo-rappresentativa che, applicandosi alle varie espressioni del comportamento quotidiano nei vari contesti situazionali, consente ed assicura un pieno autocontrollo dell'atteggiamento posturale.

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1 Silvio Ceccato è nato a Montecchio Maggiore (Vicenza) nel 1914. Dopo gli studi di giurisprudenza e composizione musicale a Milano, si è dedicato a ricerche sulla vita mentale e alla costruzione di modelli cibernetici (l'Adamo 2° e il Cronista meccanico). Già docente di linguistica, ha insegnato anche estetica, filosofia teoretica e tecniche della comunicazione. Ha fondato e diretto il Centro di Cibernetica e attività linguistiche dell'Università Statale di Milano. E' autore di vari volumi, tra i quali: "Il linguaggio con la tabella di Ceccatieff", 1951, Herman & C. -

"Linguistic analysis and programming for mechanical translation", 1961, Gordon and Breack,Feltrinelli - "Un tecnico tra i filosofi: come filosofare", vol. 1°, 1964 e: "Un tecnico tra i filosofi: come non filosofare”, vol. 2°, 1966, Marsilio - "Cibernetica per tutti", vol. 1°, 1968 e vol. 2°, 1970, Feltrinelli - "Il gioco del teocono", 1971, Scheiwiller- "Il maestro inverosimile", 1972, Bompiani - "Linguaggio, consapevolezza, pensiero", 1980, Feltrinelli - "Ingegneria della felicità", 1985, Rizzoli - "La fabbrica del bello", 1987, Rizzoli - "Lezioni di linguistica applicata", 1990, Clup

- "C'era una volta la filosofia", 1996, Spirali. - Le analisi in termini di operazioni condotte da Ceccato sulla vita mentale hanno toccato campi sempre più vasti e numerosi, interessandone i rispettivi cultori:studiosi del pensiero e della sua base organica, linguisti e costruttori di linguaggi artificiali, pedagogisti e didatti, estetologi ed artisti. In particolare, i risultati di queste analisi si sono mostrati fortemente critici ma al tempo stesso fortemente propositivi per l'intento di apprestare modelli meccanici della mente, al punto da suggerire un terzo campo alla cibernetica: la logonica, ben distinto dal primo (l'automazione) e dal secondo (la bionica). I più recenti interessi di Ceccato (di cui ricorre quest'anno il decennale della scomparsa, avvenuta il 2 dicembre 1997) si sono accentuati in una prospettiva "liberatoria" del pensiero, contrapponendo alla tradizionale trasmissione delle nozioni come "datità" la loro trasmissione attraverso la consapevolezza delle operazioni con cui il soggetto se le costituisce. È la formula, come amava asserire Ceccato, per uscire sia dal dogmatismo che dallo scetticismo, entrambi "figli" del filosofare. È forse anche il modo per sentirci chiamati a cercare in noi qualcosa di nostro da offrire agli altri, assumendocene la piena responsabilità.

2Il termine "fisico", nell'accezione operativa, viene assunto nel significato di risultato dell'operazione mentale di fisicizzazione, cioè della spazializzazione di un rapporto posto tra almeno 2 percepiti.

3Il termine "segnale" rientra nella più ampia problematica della comunicazione: per consentire la comprensione del pensiero dell'emittente da parte del ricevente ci si avvale infatti del segnale che, in quanto fisico, non può essere di per sé portatore di alcun messaggio, ma diviene fattore della comunicazione quando sollecita il processo costitutivo delle singole parole e del pensiero stesso, in forza di un'esplicita o implicita convenzione(codice) egualmente condivisa da chi emette il segnale e da chi lo riceve. L'analisi del processo di comunicazione dimostra che sono i segnali fisici a "viaggiare" dall'emittente al ricevente, non i loro significati. Questi segnali non possono quindi di per sé trasmettere contenuti, ma solo "istruzioni di scelta": una scelta che riguarda il repertorio di strutture concettuali che ciascuno dei comunicanti si è costruito nel corso della sua esperienza di interazioni sociali.

4La presenziazione risulta dalla sincronizzazione dei processi del sistema nervoso centrale con quelli del sistema nervoso periferico, ossia dalla focalizzazione attenzionale sul sistema sensorio che, per definizione, è influenzato dall'ambiente. I risultati più semplici ed elementari dell'applicarsi dell'attenzione al funzionamento degli organi sono chiamati PRESENZIATI, in quanto il dinamismo attenzionale li ha resi, appunto, mentalmente presenti, e null'altro; essi non possiedono ancora la complessità e ricchezza dei costrutti percettivi, rappresentativi o categoriali. Fra i presenziati si possono annoverare, ad esempio, i contenuti mentali designati da termini come: caldo, freddo; rumore, silenzio; luce, buio; duro, molle, ecc...

5Il termine "sensazione" implica la costituzione della categoria di soggetto; applicando al presenziato la categoria di soggetto, si ottiene la "sensazione"; applicandovi la categoria di oggetto, si ottiene la "proprietà".